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LA SICUREZZA COMPORTAMENTALE: Percezione, Realta’ Ed Esperienza
Studio-IT - Safety Training School
La sicurezza sul lavoro, come noi addetti del settore sappiamo bene, si basa al 90% sulle scelte comportamentali che vengono messe in atto dai diversi soggetti coinvolti.

Quali sono i soggetti coinvolti? Come scritto sul D.Lsg. 81/08 ogni persona presente in azienda a qualsiasi titolo ha la sua quota di responsabilità in merito alla sicurezza sul lavoro. Il primo tra tutti è ovviamente il datore di lavoro, quale primo responsabile in azienda in merito alla gestione della sicurezza. Ciò non toglie però che anche tutte le altre persone presenti, siano essi dirigenti, preposti, lavoratori, manutentori e installatori di macchine o impianti, abbiano delle responsabilità specifiche rispetto alla sicurezza propria e degli altri.

I comportamenti, a cui ci riferivamo prima, riguardano tutte queste figure, non escludendo nessuno: il lavoratore che sbaglia o che ha cattive abitudini, il preposto che non sorveglia o pensa solamente a terminare le commesse, il dirigente che spinge solo “per il fatturato” o il datore di lavoro che non ne vuole sapere della sicurezza…

Da cosa nascono?

Le logiche da cui nascono queste tipologie di comportamento, molto resistenti al cambiamento si rifanno normalmente a 3 casistiche:
  • Comodità: imparare un nuovo comportamento costa fatica. Pensiamo ad esempio ad un operaio di cantiere che deve salire su un mezzo: abituarsi ad indossare un’imbracatura ed ancorarsi ad un punto fisso costa tempo, disponibilità delle attrezzature, pianificazione e collaborazione dell’operaio. Si fa prima a sostare sul mezzo come “i gatti sui tetti”. Poi se l’operaio cade la si chiama “disgrazia”. Ma in questo caso possiamo parlare di rischio calcolato.
  • Convinzione di perdere tempo: moltissimi soprattutto, nelle sfere dirigenziali delle aziende, ma anche all’interno delle produzioni e dei cantieri, considerano le regole della sicurezza come una perdita di tempo prezioso che potrebbero dedicare ad altro. Utilizzare le protezioni dei macchinari, ad esempio, potrebbe causare una perdita di tempo in caso di blocco del macchinario e dell’applicazione della procedura di sblocco della stessa. Perchè non lavorare senza? La macchina non si bloccherà mai. Purtroppo non si bloccherà nemmeno se il lavoratore resterà impigliato…
  • CONVINZIONE CHE LA PROPRIA ESPERIENZA POSSA ESSERE LA REALTÀ: QUESTO È PUNTO CHE VOGLIAMO TRATTARE IN QUESTO ARTICOLO, PARLANDO DI ESPERIENZA, PERCEZIONE DEL RISCHIO E REALTÀ.




Cosa vuol dire “percezione”?

La definizione da vocabolario parla di percezione come dell’atto di “prendere coscienza di una realtà che si considera esterna, attraverso stimoli sensoriali, analizzati e interpretati mediante processi intuitivi, psichici, intellettivi.
Quando si nomina  questo concetto quindi ci si riferisce a tutte quelle attività che sono guidate dai nostri sensi e “memorizzate” come nostro background. La percezione non è perfetta, come non lo sono i nostri sensi e la nostra memoria.  
Inoltre tutti quanti, chi più e chi meno, siamo soggetti al fenomeno della “memoria selettiva”: sarebbe impossibile per la nostra memoria ricordare tutti gli eventi, particolari, dettagli di ogni singola esperienza, quindi memorizziamo alcuni aspetti tralasciandone degli altri.  
Gli esseri umani hanno la tendenza a mantenere a memoria ciò che vogliamo effettivamente ricordare: vengono selezionate a seconda di quanto sono importanti per noi.
Su tutti questi ricordi ben selezionati si baserà ciò che noi chiamiamo esperienza.

Ma cosa vuol dire “esperienza”?

La sua definizione, sempre dal vocabolario è “Conoscenza diretta, personalmente acquisita con l’osservazione, l’uso o la pratica, di una determinata sfera della realtà.
Come si può notare, rispetto a quanto noi siamo spesso votati a credere, l’esperienza è molto “settoriale”, riguarda ciò che incontriamo, che conosciamo e non abbraccia tutti i campi della realtà.
Dobbiamo tutti comprendere che la nostra esperienza non può essere applicata a tutti i campi della realtà.


Cosa vuol dire “realtà”?

La realtà è un concetto molto complesso e dibattuto dalla filosofia.
Sempre dal vocabolario la sua definizione come “Concetto fondamentale che esprime in compendio la qualità di ogni cosa in quanto “è”, in sede oggettiva o soggettiva”.
Nessuno di noi è in grado di percepire la realtà: ciò che memorizziamo resta comunque nell’ambito dell’esperienza.

Come fare quindi a giudicare gli eventi?

Purtroppo, nessuno di noi conosce la “realtà”, quindi l’unico modo è ampliare la base dell’esperienza il più possibile, leggendo, studiando i fenomeni e mantenendo aperta la mente anche alla possibilità di cambiare idea.

Per fare un esempio:
E’ molto frequente nei cantieri, avvistare operai intenti a sostare liberi e pacifici sopra i tetti, saltellando come se il caso non fosse loro. La scusa più frequente è legata alla tempistica di permanenza sul tetto stesso o che comunque è sufficiente camminare contemporaneamente su due coppi perché non accada nulla. In fondo a loro non è mai successo, non hanno mai visto un incidente così.
Purtroppo la statistica Inail ci dice che circa il 30% delle cadute dall’alto (che rappresentano uno degli eventi infortunisti mortali più frequenti in Italia) sono legare ai tetti o coperture.

Quindi su cosa dobbiamo decidere di basarci quando attribuiamo la probabilità di caduta da un tetto o un coperto?
Sulle statistiche infortunistiche nel nostro paese? O sull’esperienza del singolo operaio, datore di lavoro o azienda?

La risposta è piuttosto ovvia e ci porta a dire una cosa che tanto importante quanto difficile: aprire la mente alla conoscenza di esperienze più ampie, di persone più ferrate nello specifico settore,  di enti che si occupano di elaborare dati sugli eventi su base più allargata rispetto a quella del singolo ci potrebbe aiutare a modificare i comportamenti errati che sono spesso alla base di infortuni gravi!




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